Quanta ansia nelle nostre vite… di perdere, di perdere l’altro, quanta paura che l’altro non ci veda, non ci voglia, quanta energia messa nel rincorrere, nel tenere stretto, nell’inseguire, stare attente a che cosa dire, a come sentire e che cosa permetterci di lasciar vedere.
Quanta attenzione a non… soprattutto quanta paura a sceglierci.
O quanto sbattere addosso, di istinto e di rabbia, quasi ad occhi chiusi e fiato corto, altra figlia della stessa paura.
Soprattutto, ovviamente, nella relazione con l’altro.
Del resto siamo fatte per la relazione, anche se la tentazione sarebbe di fare finta che non sia così, in quella danza a tratti autistica che ci fa spesso chiudere dentro di noi e lasciare il mondo fuori, ben lontano.
Una danza di controllo, nel tentativo di mantenere intatto quel potere che tutto rimanga uguale e seppur triste, almeno stabile.
Tutta spostata verso l’altro, tanto da confonderti e non conoscerti, non sapere che cosa vuoi realmente. Che non è smettere di fare o di essere o di cercare l’incontro con l’altro. Ma è da dove parti di te che fa la differenza.
Ferme, sbilanciate.
Private così dell’apertura ad altre possibilità. Di scoprire che l’altro potrebbe sorprenderci, che finalmente una porta si possa aprire, dove arriva il vento leggero del non più ansia di chi sei e di ciò che dici.
Non siamo onnipotenti certo, un lavoro su di sé che conduca a bastare a se stesse in toto non ha senso, abbiamo bisogno dell’altro, abbiamo bisogno di riconoscimento e di essere viste, abbiamo bisogno di amore.
Ma non siamo neppure impotenti.
Anche l’ansia di perdere, la foga a rincorrere ha i suoi effetti. Anche qui potere c’è, anche se dal punto di vista della paura non riusciamo a vederlo. Ci sentiamo impotenti e vittime, stanche spesso di tanta fatica e dispendio di energia. Come se potessimo “tenere” l’altro o le situazioni con questo pensiero onnipotente.
E se io smetto di, qualcuno mi verrà a cercare? E se io sto bene avrò ancora l’attenzione degli altri?
La paura è dello spazio (sano) che possiamo mettere tra noi e l’altro.
Per dare fiato e aria e ossigeno a persone, relazioni e situazioni.
Quella distanza che tanto spaventa, come un vuoto bianco che divide, può diventare invece uno spazio (verde) di incontro. Dove co-creare relazioni che nutrono e potenziano.
Sia con le situazioni, sia con le persone.
Tanti fraintendimenti in meno, tanta rabbia e frustrazione in meno. Ossigeno che circola.
Perchè a rincorrere, ad analizzare, a pensare tutto e il contrario di tutto, ad analizzare i minimi dettagli, si disperde tantissima energia.
So che funzionamenti di questo tipo oltre a logorare, hanno radici profonde e antiche, in quelle relazioni parentali dove non sei stata vista, rassicurata, in cui hai vissuto la fragilità di un affetto che avrebbe dovuto essere invece stabile.
Adesso puoi, tuttavia, mettere le distanze e scegliere.
Come amarti, e a chi concedere il privilegio di starti accanto.
Puoi spostarti indietro e osservare. Chiederti se, proprio in nome e per onorare quelle ferite, vuoi ancora rincorrere, trattenere, perder il fiato e lo stomaco, o lasciare che giunga a te chi ha occhi per vederti e gioia nell’esserti accanto.
Un grande abbraccio
Roberta