Per un bambino sarebbe strano e impensabile, eppure è così.
Quanto abbiamo il coraggio di ammettere i nostri bisogni?
Quanto ci diamo il permesso di assecondarli e di conseguenza di comunicarli? Di dirsi: io ho bisogno di sentirmi voluta bene. Io ho bisogno di un abbraccio e te lo chiedo (visto che oggi è la giornata mondiale dell’abbraccio). Io ho bisogno che tu mi cerchi, che tu faccia questo per me.
Sembrerebbe così semplice, come fanno i bambini che dicono con assoluta naturalezza: ho fame, ho sonno, voglio un abbraccio, voglio che stai con me, voglio che mi guardi e ascolti. voglio comprendere come è fatto l’universo…
Nella nota scala dei bisogni di Abraham Maslow (La famosa Piramide) dopo aver soddisfatto quei bisogni di base (fisiologici, come il bisogno di cibo, aria, calore, sesso e sonno: e nota che il sesso viene incluso tra i bisogni-base), necessari alla nostra sopravvivenza, arrivano gli altri, altrettanto importanti: di sicurezza, di amore e di appartenenza, di stima, di autorealizzazione.
Ci hai mai pensato? è legittimo che tu senta questi bisogni: non sei una pecora nera, nè una marziana, nè viziata e capricciosa. Non chiedi troppo, non pretendi troppo! E’ legittimo che tu pretenda di realizzarli. Questi quelli base, nel tempo ovviamente ne sono stati aggiunti altri, come il bisogno di trascendenza e di spiritualità, ad esempio.
… eppure qualcosa poi va storto e iniziamo a mettere maschere, a ingoiare il nostro vero bisogno, a edulcorarlo, a renderlo più carino, meno forte, più accettabile, o a zittirlo proprio, a diventare come tu mi vorresti per non…
costruiamo così un’altra identità. Quella che potrebbe andare meglio per soddisfare dei bisogni più semplici, più facilmente soddisfabili. Perché di colpo (ma sappiamo bene che poi tanto di colpo non è stato…) abbiamo paura che i nostri bisogni autentici non vadano bene. E non siamo più in grado di riconoscerli. Di che cosa ho bisogno? non lo so o se lo so, non so trovare la strada perchè vengano soddisfatti. Io chiedo ma sono sempre frustrata.
Così nascono i problemi relazionali. Le frustrazioni giganti. Le solitudini. Il non provarci neanche o non più. La sensazione di fare troppo e sempre e solo noi. Di non essere ricambiate. Di non essere riconosciute in quello che diamo. Sempre disponibili, adattabili, regaliamo il nostro tempo e la sensazione che ci accompagna è quella di stringere sabbia. Non resta nulla per noi. Come se non potessimo vivere le nostre vite, talmente siamo sbilanciate su quelle degli altri. Quanta rabbia e rancore accumuliamo…
Arriva forse un giorno (benedizione!) l’essere stufe di tutto questo. Di mettere prima gli altri di noi, prima i loro bisogni dei nostri.
Domande semplici (alla fine il coaching è semplice e profondamente liberatorio propio in questo) e provocatorie le mie, almeno un po’…
Quando hai scelto di negare i tuoi bisogni?
Chi ti ha detto di metterti in questo ruolo? Di donna che non chiede e non dice e soffre in silenzio o nel lamento sterile…
Un abbraccio
Roberta