Ad un certo punto, per fortuna, per caso o neanche tanto, arriva il momento del…
mi tolgo dal secondo posto, dal terzo…
esco dal sentirmi in colpa se mi occupo di me, quella sensazione pervasiva e sottile che mi fa trovare mille scuse per non farlo e mille scuse: non ho soldi, posso rimandare, non ha senso, intanto dove vuoi che vada…
Vieni dopo, soprattutto quando vuoi bene. La logica è quella del sacrificio, della rinuncia, come se amare ed essere donne spirituali volesse dire rinunciare. Una buona madre lo è se si mette dopo; una buona compagna idem e così via…
Quella sottile domanda: posso prendermi del tempo per me? A chi lo stai chiedendo?
Come se avessimo un imprinting, facciamo ancora tanta fatica a metterci allo stesso posto almeno degli altri. Ci alziamo noi per prime, a fatica deleghiamo, portiamo i pesi, quasi non ci rendiamo conto di essere sempre in piedi e in circolazione, a districarci tra tempo che non basta mai e mille organizzazioni per tutti. Noi leader perfette organizzatrici che di noi ci scordiamo proprio. Sempre protese verso, piegate in avanti con la mente e il cuore e nel concreto.
Ma poi arriva quel momento benedetto in cui tutta la stanchezza, il metterci al secondo posto, le rinunce, si fanno magicamente da parte. Il sacrificio diventa sacrum facere, dove siamo noi il sacro.
E veniamo in figura noi.
Non per forza in modo eclatante, anzi piano piano, timidamente, nella paura, nel dubbio che resta, ma comunque scatta qualcosa dentro. Non è mai così netto e chiaro. Quasi lo facciamo un po’ di nascosto e abbiamo ancora bisogno di sentirci legittimate. Il permesso a chi o possiamo chiedere? A Noi stesse, ma spesso all’inizio deve essere supportato da analisi oggettive della realtà: i capelli che non ce la fanno oggettivamente più, la pelle disidratata, le occhiaie evidenti. Il fiato che manca, il male alla schiena, le gambe indolenzite. Allora smetti di alzarti per prima e lo fai imponendotelo, perché finalmente scegli di ascoltarle quelle gambe. E decidi di non giustificarti più e di organizzare tutto per filo e per segno in modo che nulla possa andare storto. Pazienza se la maglietta non è più stirata, pazienza se si mangia pasta all’olio o se manca qualcosa, pazienza se il letto è sfatto, pazienza se… Non più pazienza tu.
Sono le fasi del femminile, i diversi passaggi che molte di noi attraversano, di crescita.
Non uguali per tutte, certo, ma con tratti comuni, che non ci fanno sentire sole, quando lo iniziamo a vedere.
Come se seguissimo un sentiero di individuazione, di liberazione, di risveglio che ha tratti comuni. Per il femminile.
Usciamo, lasciando ruoli che come vestiti ci sono anche stati stretti, perché siamo state instradate così, facciamo fatica a comprendere la nostra missione quella della nostra unicità, perché abbiamo avuto paura a farla uscire troppo presto.
Per troppo tempo solo madri, solo compagne, solo lavoratrici.
Come se l’anima profonda quella che ci accende, fa gioire, non potesse entrarci.
Come se il piacere nostro fosse un grande sconosciuto.
Lei fuori, l’anima, lui pure, il piacere. Come se il mondo dicesse che si deve fare così.
Abbandona le tue scintille, entra nella realtà, stai con i piedi per terra, ci puoi stare solo in un modo: mettendo macigni sul cuore, in nome di più alti ideali grigi e omologanti.
Crediamo che seguire la nostra strada sia troppo difficile e riservato a poche.
Loro sì ce la fanno, ma io non posso: come faccio a lasciare? Il peso del giudizio e del senso di colpa grava.
E la strada ci appare o questo o quello: nessuna integrazione possibile, il cuore spesso così lacerato e diviso, impossibile rendere realtà la complessità.
Madri e padri che ci guardano con le loro aspettative fallite, che sono diventate le nostre; la nostra anima persa lontana nel tempo di quando eravamo… allora sì sembra leggere, spensierate, ribelli, accese e noncuranti… e poi crollate dentro le loro gabbie. Di una donna che deve.
Non si può vivere della propria passione, non si può…
Se guardi da un’altra prospettiva oggi puoi vedere. Che è stato ed è il cammino di individuazione e di crescita del femminile, affascinante e bellissimo. Grazie al quale hai potuto e puoi e potrai ancora togliere strati, comprendere limiti e liberare potenzialità.
Potrai così andarti a riprendere, scoprire che sono in te le convinzioni che non puoi, che sei tu a non lasciar andare… che puoi veramente tutto.
E che piano piano puoi fare la strada alla tua energia di vita radicata e potente.
Puoi lasciare il tuo compagno o attendere di stare a fianco a lui non più come madre stanca, puoi continuare a fare il lavoro che ti spegne un po’ se questo ti permette di costruire pezzetto per pezzetto il sentiero del tuo sogno più grande; puoi dismettere i panni della crocerossina e ascoltare che cosa sceglie il tuo ventre: di dire un ti amo anche se non sei ricambiata e scoprire che il mondo non crolla. Puoi prenderti del tempo per te, iniziando un poco per volta se senti che è troppo dirompente e i conti da fare con il senso di colpa pesano ancora tanto.
Puoi. Sempre.
Accade. Nel momento in cui certe forze interiori si aggiustano o prevale una, o tutte insieme, o anche un timido sussurro interiore.
Accade, per fortuna, di svegliarsi.
E di volersi finalmente seguire.
Scopriamo che siamo chiamate ad altro.
Alla libertà, alla leggerezza, è dentro di noi anche se nessuno ce l’ha mai detto o dimostrato con la vita. Abbiamo visto i nostri genitori fare sacrifici, scambiare il sacrificio (da cui sacrificio deriva: rendere sacro) per regola di vita, la rinuncia, il non godere.
Uscire da quella logica non è facile, abbiamo da attivare forza e potere, che abbiamo, ma che a bisogno anche di sostegno e guida per emergere. Perchè noi donne siamo così: al primo posto per noi c’è la relazione. Abbiamo allora da ristabilire equilibri, di potere, ad esempio; integrare la complessità ed accettare il cambiamento. Ascoltare tutte ma proprio tutte le parti di noi. E così via…
Immagina… il risveglio. Come tante luci che una dopo l’altra si accendono… per illuminare il mondo…
buon risveglio!
Un abbraccio
Roberta