Ho incontrato la donna selvaggia anni fa, in quel libro immenso “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estes: un libro che era rimasto per anni sugli scaffali della libreria, misterioso e incomprensibile, snobbato. Poi, come spesso accade, non ricordo più bene quando e perché, decisi di aprirlo, così, a caso. Parole incomprensibili all’inizio, che mi parlavano di mondi e linguaggi lontani e che molto lentamente divennero familiari, amici, vivi e meravigliosamente miei. E così capitolo dopo capitolo incontrai lei e me: la donna selvaggia.
Che cosa ha significato per me incontrare la donna selvaggia ieri e che cosa significa ancora oggi?
Ha significato scoprire che ho un senso, profondo. Che posso esistere con me stessa, in tutto.
Che nulla di quello che provo o non provo è da eliminare, buttare via e combattere. Anzi, le profondità della mia anima hanno parole antiche, di sempre, dicono dell’essere umano e del mio femminile profondo.
Che non sono sola. Che milioni di donne prima di me hanno vissuto tanto di quello che vivo io ogni giorno. Che ci sono storie archetipiche che mi rappresentano e mi possono sostenere.
Che sono parte di una storia più antica che mi vede e mi sostiene e dentro la quale posso riposare.
Che sono donna. E per questo ho un senso nella storia delle donne… Mi ha riestituito l’universale. Il sentire universale. Io, non sono una mosca bianca nel panorama delle donne “arrivate e soddisfatte” di oggi. No, ci sono donne che sentono e lottano esattamente come me. E che tutto quello che provo ha un senso anche ulteriore. Di donna fra le donne. Questo mi dà forza e respiro più ampio.
Se qualcuno mi avesse raccontato le fatiche di quelle donne che per secoli avevano lottato, o se avessi saputo che esistevano epoche e mondi in cui era possibile sedersi attorno a un fuoco e parlare e danzare e raccontarsi, o se avessi saputo che le donne sono sagge e possono insegnare agli uomini l’amore, la cura, la bellezza…se avessi saputo. Ma forse sapevo lo stesso, nell’intimo di me, avrei solo dovuto attendere anni perché un filo rosso si potesse dipanare e tenere unite le tante vicende della mia vita di donna.
La donna selvaggia mi ha riconnessa, lentamente, e continua a farlo, al mio femminile profondo. Alla mia capacità di riconoscere la ciclicità della vita: vita/morte e vita.
Ogni volta in cui mi perdo e lascio distrarre e fagocitare dai venti dell’apparenza, del perfezionismo, dell’impotenza, della competizione, del confronto, ritorno a lei, alla donna selvaggia.
Per me è un simbolo potente, che ho dentro e che è fuori. Come simbolo esterno richiama noi tutte al nostro potere di donna in quanto tale, richiama a valori universali, costitutivi del femminile, come l’intuito, il saper vedere oltre e al di sopra, come quella saggezza di colei che sa nell’intimo della sua anima ciò che è e ciò che deve essere.
Come simbolo interiore richiama me stessa a me stessa, mi riconnette alla mia naturalità, al mio ventre, a quel mondo ancestrale profondo che vive in me, dove altre sono le regole che mi guidano, a quella parte profonda e saggia di me che non si perde e non si abbatte.
Quando sono stanca e mi sembra di aver perso la bussola, lei arriva dalle profondità e mi sa dire chi e cosa.
Mi aiuta a ricentrarmi a chi sono. Perché io lo so chi sono, conosco quelle parole potenti ed espansive che mi possono radicare e non fami disperdere nel lasciarmi andare, nei copioni che ancora oggi tendo a mettere in atto e nei miei alibi.
Lei lo sa chi sono. E’ sufficiente che la chiami a me, come un amante…che ogni tanto ci dà fastidio. Sì perché anche con le parti migliori di noi possiamo entrare in conflitto, siamo fatte così. Facciamo fatica ad accettare il nostro potere.
Anche questo fa parte del viaggio della donna selvaggia: sapere che è inevitabile dover fare i conti con il predatore naturale. Avere a che fare, forse per tutta la vita, con il predatore, quel Barbablù che prova ad ucciderti nelle parti più autentiche. Se non ci fosse lui forse non potremmo diventare così autenticamente noi stesse, così profondamente scendere e risalire nelle nostre ombre.
Diciamocelo, tante volte siamo stanche, avremmo voglia, tanta, di mollare tutto. E di poterci rannicchiare in un angolo e lasciar andare, dimenticarci di chi siamo soprattutto del nostro potere, dell’intuito, dell’amore, della saggezza, smettere di essere resilienti, smettere di amare, smettere di ricominciare ogni volta. E dire basta, mi rannicchio qua.
E in quel momento lei c’è, si rannicchia lì con te e veglia. Come Loba, inizia lei al tuo posto a fare la ricerca di te. E non ti molla. Puoi riposare perché sai che intanto lei non muore, ma ha soltanto bisogno di ricaricare le pile, di andare a fare un viaggio negli altri mondi, dove tutte le altre donne si incontrano e si sostengono. Dove, sacerdotesse sorelle, possiamo celebrare i nostri più antichi saperi senza azioni, senza parole, ma solo nel silenzio e comunicare poi con te nell’intuito.
La donna selvaggia è la mia natura, il mio richiamo a me stessa più potente e autentico. Veglia e mi tiene, quando io non ce la faccio più. Mi riporta al qui e ora, alla mia carnalità, ai miei bisogni e desideri, tutti li protegge, riconosce e legittima. Il mio desiderio sessuale ampio e animale, il mio bisogno di essere cercata e ancora cercata dall’anima gemella, è un percorso iniziatico che legittima ogni mio essere qua.Mi vuole tutta e tutta mi potenzia. È un luogo dell’anima a cui aspirare e dal quale si parte per. Per non dimenticarci chi siamo e chi possiamo essere. È l’amore della cura, della memoria e del riconoscimento del valore di tutto, delle nostre memorie e della nostra vita, delle radici dalle quali proveniamo e ci tiene per farci espandere nel massimo delle nostre potenzialità. Perché scende nella carne più piena di sangue e innalza nei balli più sfrenati. E’ carne e spirito, è storia antica e viscerale. Tutte noi comprende ed esalta.
Siamo tutte selvagge, nel momento in cui sentiamo il nostro coraggio, la nostra forza e la nostra fragilità. Di donne. Lei ci riporta a noi, al nostro femminile, si preoccupa che noi ne scopriamo ogni giorno un pezzetto in più, che ci apriamo un po’ di più alla consapevolezza, che può significare non smettere mai di spenderci, di stare dentro, di fluire. Perché uno dei più grandi messaggi che la donna selvaggia mi continua a dare è “esserci.” Di starci dentro con tutto, carne e anima. E di creare, di non smettere mai. Come tutte le donne prima. Mia madre, mia nonna, la mia bisnonna, tutte quelle donne che hanno fatto compiere un passo avanti al loro albero genealogico, con un figlio, con un lavoro a maglia, con un desiderio, con un pensiero detto a voce alta, con un’azione concreta, un viaggio, un poema, un dolore portato con dignità.
Ecco chi è la donna selvaggia per me, ecco il perché del mio percorso su di lei (Risveglia la donna selvaggia che sei). Perché possa continuare a risvegliarsi e a risvegliare in tutte noi.
E per te CHI E’ LA TUA DONNA SELVAGGIA?
Roberta