Con oggi voglio iniziare una serie di racconti di sedute di counseling, un po’ per farvi entrare nel mondo del mio lavoro, un po’ per raccontare storie di vita, che tutti noi possiamo vivere…
Francesca entra nel mio studio trafelata e indecisa, non sa dove sedersi, non sa dove porre lo sguardo. Non mi guarda infatti negli occhi, si gira persa per la stanza finché non le dico di accomodarsi.
E’ il nostro primo incontro, il primo contatto era stato telefonico e veloce, ma oggi c’è tutto il tempo per presentarci. Ma lei non sembra abbia voglia di tutto questo.
Esordisce, senza che io dica nulla, con una frase secca e incisiva, non appena si siede e posa finalmente lo sguardo su di me. “Sto male.” Il mio corpo si protende verso di lei allora, con piccoli cenni di interesse e di ascolto. Francesca a questo punto parla e racconta.
Ha una famiglia, un marito, due bambini, lavora come segretaria in uno studio di avvocati da molti anni, ma nulla di tutto questo sembra darle più gioia o motivazione per vivere. Lei vorrebbe soltanto dormire, per non sentire il dolore e l’angoscia che ogni mattina al suo risveglio la invadono. Quando riesce a dormire, (perché ultimamente non riesce ad addormentarsi tanto facilmente), almeno non sente nulla e non sogna, per fortuna – dice lei. Ha provato di tutto per vincere l’insonnia e il malessere che la sta divorando, ma ad oggi nulla ha funzionato. Viene da me come ultima possibilità che si è concessa prima di passare ad altre opzioni, più ufficiali, come ricorrere agli psicofarmaci.
Quello che noto immediatamente nel suo raccontarsi è il tono di voce: spento, monotono, dimesso, senza colore e anima.
Il suo volto non ha espressione, non c’è quasi mimica facciale, Francesca insomma non c’è. La sua luce si è spenta, non ha colori, come se la vera Francesca fosse stata sepolta dalla sua vita “normale”.
Ma questa è una mia sensazione soltanto. Ora inizieremo insieme il viaggio alla scoperta di cosa succede e di come ritornare a vivere.
Rimango ferma, quindi, a quello che semplicemente vedo, senza giudizi o interpretazioni.
E provo a superare le parole. Spesso ho verificato come le parole non aiutino, ma siano delle gabbie, delle etichette dentro le quali noi per primi ci ingabbiamo e l’abitudine a dirci sempre nello stesso modo diventi la nostra stessa realtà. Mi sento sfortunata, diventa sono sfortunata, mi sento incapace diventa sono incapace, non sarò mai, non avrò mai, i miei desideri non si realizzeranno mai, sono stupida e così via…
Cerco allora di evitare tutto questo, almeno per questo nostro primo incontro, visto che lei per prima ha difficoltà a parlare e le propongo di disegnare. Ho dei colori, delle matite, dei fogli.
Le propongo un disegno.
Stupita della proposta, acconsente.
Disegnare senza pensare troppo, ma semplicemente mettere su carta la sua sensazione, quello che sta vivendo in questo momento in cui è con me.
E Francesca inizia.
Lavora assorta e seria.
Quando sente di aver concluso, alza lo sguardo e leggo nei suoi occhi lucidità. La sento presente.
Mi fa vedere il disegno. Spiccano sui due lati del foglio due volti: uno appena accennato, filiforme, scheletrico in cui gli occhi grandi spiccano rispetto al resto del volto quasi inesistente con naso e bocca appena accennati, l’altro colorato, con tutti i tratti ben definiti e sorridente.
Descrive i due visi e nel raccontarli vede che entrambi i volti la rispecchiano e rappresentano in questo momento, entrambi dicono qualcosa di lei, di lei di fronte alla sua quotidianità: spenta, spaventata e senza parole e viva e felice dall’altra parte. Le due Francesche stanno emergendo e il nostro viaggio da qui può partire: troveremo insieme un modo per farle integrare, per farle dialogare e per riscoprire insieme come farla sorridere ancora.
Roberta Bailo
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